L’era digitale ha il suo mantra: la digital transformation o trasformazione digitale. Come utilizzare a nostro favore le incredibili possibilità e opportunità offerte dalla tecnologia per lavorare e stare meglio. La vitalità lavorativa nella Digital Trasformation è come tu ci stai dentro. Ha a che fare con quello che ti fa sentire attivo, motivato e felice oppure ansioso e stressato quando sei al lavoro o vivi momenti specifici della tua vita professionale che si intrecciano con quella personale.
Il protagonista che mi sono immaginato in questo spazio sei tu. Tu che hai un lavoro, lo stai cercando oppure hai deciso di cambiarlo. O che hai deciso di inventartene uno o stai studiando e ti stai preparando ad un lavoro che oggi ancora non c’è.
La dimensione della vitalità lavorativa mi sembra sia fuori da qualsiasi dibattito che tenga conto dei vissuti personali e delle dinamiche relazionali ed emotive. Ecco perché la domanda che dà il titolo al post è bizzarra. Strana. Fuori contesto. Si scivola sempre sul “tecnologico”: il vissuto relazionale ed emotivo passa sempre più spesso attraverso un oggetto, filtro tecnologico che sposta la nostra attenzione e ci distrae dal “perchè” di quello che avevamo iniziato a fare.
Mi sembra che abbiamo ancora una scarsa consapevolezza di vivere in un mondo di relazioni dove tutto avviene e si consuma in un tempo esponenziale, tutto si comprime e accade veloce-mente. Questo causa una perdita di centralità del sé e “.. dividiamo disperatamente la nostra limitata attenzione, concedendo frammenti della nostra coscienza” come scrive il sociologo americano Jeremy Rifkin nel suo libro “L’era dell’accesso” pubblicato in Italia nel 2000.
La tecnologia è il COME le Persone sono il PERCHÉ, il punto di partenza. Vuol dire che diventa importante tenere in figura come vivi le tue relazioni (vabbè questo lo dicono un po’ tutti) e le tue emozioni (questo lo dicono ancora in pochi). E qual è la visione che hai del lavoro (dove ciascuno dice la sua) e del tuo lavoro (dove puoi dire la tua) e del livello di vitalità che vivi e che porti in giro. Ecco perché ho voluto aprire questo spazio: per portare il PERCHÉ in evidenza.
Sempre Rifkin nel libro “La civiltà dell’empatia” evidenzia una forte crescita della ricerca personale di senso che chiama spiritualità “…è in aumento la spiritualità intesa come ricerca personale di un significato da attribuire alle cose”.
Voglio condividerti tre semplici numeri e le loro fonti nel caso tu voglia approfondire. Indicano quanto la ricerca di significato, di senso e di coinvolgimento siano importanti nello scenario della vitalità lavorativa di tutti.
Se questi sono i numeri allora questa è la storia che potrebbe essere raccontata.
“Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro lavoro, le risposte furono diverse. “Spacco pietre” rispose il primo. “Mi guadagno da vivere” rispose il secondo. “Partecipo alla costruzione di una cattedrale” disse il terzo.” [Peter Schultz]
Se ti ho incuriosito allora continua a leggere, alla fine potrai dare la tua risposta alla domanda del post.
Il lavoro gioca una parte importante nel definire chi siamo. “Come ti chiami? …” è la prima domanda che ti pongono se non ti conoscono. La successiva è “… di cosa ti occupi?”.
Per molti di noi il lavoro va al di là del semplice guadagno. É l’opportunità di soddisfazioni e di relazioni. É l’occasione di mettersi alla prova e apprendere.
É un viaggio a tappe. “Si parte per conoscere il mondo, si torna per conoscere se stessi” canta Niccolo Fabi cantautore romano. Partendo da questa sintesi poetica per me il lavoro è il modo che ciascuno di noi ha per Condividere, Sperimentare e Realizzare se stessi.
Per farlo voglio condividerti l’esperienza lavorativa di Anna (nome inventato). Quello che leggerai me lo ha scritto lei di suo pugno (questo è vero, verissimo!). Te lo propongo perché esprime in modo chiaro che la vitalità lavorativa è una dinamica e ha sempre un prima e un dopo. E un viaggio da compiere. E poi un altro ancora. E ancora…
Prima
Dopo
“Ritengo che ci troviamo al punto di svolta (…). L’era della ragione sta per essere sostituita dall’era dell’empatia (…) Il sé esclusivo autonomo, (…), lascia il posto a un sé inclusivo relazionale, partecipante alla piazza pubblica globale, virtuale e reale”. [Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia]
Ho immaginato di realizzare questo spazio dove è possibile Condividere i propri vissuti lavorativi che possono far nascere il desiderio di Sperimentare nuove possibilità perché ispirati dagli altri per Realizzare cambiamenti positivi. Uno spazio dove si racconta il viaggio: come è possibile un cambiamento ma soprattutto perché.
Con il mio lavoro entro in contatto con molte persone e mi sono accorto che molti sono interessati al viaggio. Forse anche tu! Forse anche tu come me vuoi prenderti un futuro, una vita che ti è davanti per la quale hai bisogno di avere il coraggio di rotture (con pensieri, credenze, abitudini, pregiudizi) il cui significato è sostanzialmente una rinuncia a giustificarsi, ad appianare le cose, a sistemare tutto!
Per me significa concedermi un’opportunità per essere ed agire in maniera più consapevole, intenzionale e strategica, nella vita di tutti i giorni, in famiglia e in campo professionale.
Le situazioni possono essere molte come mi ha condiviso Anna. Tanti pensieri e domande per le quali decidere di esprimere la propria vitalità e quindi per entrare nelle cose o continuare a vederle da fuori:
Svolgimento.
Quando guardiamo quello che abbiamo intorno ci dimentichiamo che ci siamo anche noi. Non è scontato. In Occidente vale la scienza e la scienza separa (osservatore e osservato). Noi ci poniamo come osservatori della realtà. Ma non è solo così. Ci sei anche tu. Possiamo sintetizzare dicendo che Tu non stai solo di fronte all’altro ma con l’altro.
Questo vale “sempre”. Facciamo un esempio. Vedere un tramonto può essere un oggetto (è qualcosa di esterno) oppure qualcosa che ti coinvolge e quindi ti emoziona. L’esperienza passa anche attraverso il corpo altrimenti è solo in testa.
É la differenza tra il dire che “…sono cosciente” oppure “…sono consapevole”.
La consapevolezza è un processo di conoscenza delle emozioni quindi interno perché coinvolge il corpo. La coscienza è invece un processo cognitivo di comprensione di un fatto esterno e coinvolge il pensiero.
Ora ripeti l’esperienza e invece di osservare i tuoi colleghi osservaTi.
Se sei arrivato fin qui vuol dire che sei interessato seriamente alla tua vitalità lavorativa.
Condividi la tua risposta e invita un tuo amico a fare altrettanto!